Praterie magre

Praterie magre da fieno

 

Si tratta di una tipologia vegetazionale di rilevante interesse botanico, denominata “Praterie magre da fieno a bassa altitudine” dalla Direttiva CEE 92/43. La caratteristica di instabilità dei pratelli aridi lungo il corso dei fiumi di pianura, li rende infatti estremamente rari, proprio perché situati in aree soggette frequentemente all’erosione o alla deposizione derivanti dalle piene fluviali.

 

Le specie hanno differenti origini geografiche: alcune provengono dalle zone montane e prealpine, come la biscutella montanina (Biscutella laevigata), i cui semi contenuti all’interno di due siliquette discoidali a “biscotto”, portati dalla corrente riescono a vegetare anche in pianura; altre specie, come l’erba medica (Medicago sativa ssp. falcata), provengono dalle steppe aride delle pianure dell’est europeo e dell’asia; un ulteriore gruppo è formato dalle specie di origine mediterranea, come il ginestrino marittimo (Tetragonolobus maritinus), che sfruttando i periodi climatici più favorevoli, sono riuscite a colonizzare le nicchie ecologiche più aride (Arzuffi, 2000).

 

Ci troviamo di fronte a una vegetazione che deve essere in grado adattarsi alle condizioni estreme dovute allo strato molto sottile di terreno che le diverse specie sono in grado di trattenere nei periodi che vanno da una piena alla successiva. Questi ambienti sono costituiti da substrati grossolani di ghiaia e sabbia e sono quindi fortemente drenanti. Ciò causa la formazione di ambienti asciutti e secchi dove è in grado di instaurarsi solo una flora prettamente xerofila.

 

Gli adattamenti delle specie presenti tendono a gestire la risorsa più importante: l’acqua. Da una parte quindi molte specie tendono a sviluppare un esteso apparato radicale in modo da assorbire la maggior quantità d’acqua possibile nel corso delle piogge. Altre specie, come il genere Sedum, ad esempio la borracina insipida (Sedum sexangulare) e la borracina acre (Sedum acre), trattengono l’acqua grazie alla presenza nelle cellule delle foglie di organelli citoplasmatici in grado di immagazzinare acqua: i vacuoli (Arzuffi, 2000). Altre specie, come la calcatreppola campestre (Eryngium campestre) hanno trasformato le foglie in vere e proprie spine in modo da diminuire la perdita d’acqua dovuta all’evapo – traspirazione, cioè nella perdita d’acqua che avviene direttamente dai tessuti verso l’esterno (Arzuffi, 2000). Altre specie ancora hanno sviluppato peli in grado di trattenere l’umidità.

 

E’ chiaro quindi che ci troviamo di fronte a un ecosistema dinamico e in continua evoluzione dove i “disturbi” ecologici incidono fortemente sull’evoluzione delle composizioni floristiche. La vegetazione di questi ambienti è costituita prevalentemente da specie erbacee, ad eccezione di qualche raro arbusto come la rosa selvatica (Rosa canina), il rovo (Robus ssp.) e le specie invasive di origine esotica come l’ailanto (Ailantuhus altissima), la buddleja (Buddleja davidii) e la fitolacca americana (Phytolacca americana).

 

Da ricordare per l’importanza dovuta alla loro rarità le specie di orchidee presenti nell’area che richiedono opere di conservazione di questi habitat. Per l’ osservazione delle fioriture si consigliano i mesi primaverili ed estivi in coincidenza alle diverse fioriture.